venerdì 29 novembre 2019

Possesso e Libertà

Voglio possedere tutto.

Esperienze, sapori, vendette. Ogni cosa che passa per la mia vita l'afferro, ne voglio strappare l'essenza, la voglio possedere.

Questa sembra essere la radice di tutte le tensioni. “La radice possessiva della sofferenza”. Contrarre, tirare, afferrare, trattenere.

Lasciarsi possedere dalla verità interiore. Lasciare che si manifesti. Non discriminare. Non separare. Non oscillare. Essere il fulcro e non il pendolo.

Osservo me stesso. Chi osserva chi? Esiste un momento preciso in cui, ponendo attenzione alla mia vita, a ciò che faccio, sento, dico, penso, prende corpo un centro inamovibile. Un centro “nonostante tutto”. Quando questo centro agisce, tutto funziona in un modo diverso. Non sembra possibile possedere qualcosa; sembra quasi puerile pensare di possedere qualcosa. Non sono più qui nel tentativo di possedere ciò che è lì. Qui e lì, io e il “mondo”, sembrano semplicemente partecipare allo stesso spettacolo. Collaboro.

Soffro quando non ho il controllo. Smetto di soffrire quando sono cosciente che non posso avere il controllo.

Presenza mentale. Essere presenti a se stessi. Coscienza di sé.

Perché l'essere umano? Perché di tutti gli esseri, siamo l'unico che genera la propria stessa sofferenza? A mio avviso non può che essere un passaggio necessario, un ostacolo lungo l'ascesa.

Io... noi, come forma più ampia di “io” è sempre io.

Quando sono realmente sveglio vedo come tutto partecipa e come non c'è distinzione alcuna, non c'è separazione ed esiste un unico fenomeno, di cui faccio parte come il vento, il sasso e la stella.

Per agire nel mondo devo discriminare. Quando sono realmente sveglio sono cosciente della discriminazione e del fallo insito in essa. Non posso smettere di distinguere, separare e scegliere, ma posso farlo sapendo di farlo. Sono vivo nell'imperfezione, in ascesa, in espansione.

Partecipo al fenomeno dell'esistere. Qui, con questo corpo.

Vedo il potere totale della compassione. Il “campo di bontà” che comprende ogni cosa e partecipa in ogni cosa. Agire con bontà, con amorevolezza. Vibro di allegria al solo pensiero.

Ho la concreta possibilità di essere ciò che voglio, essendo partecipe.

lunedì 25 febbraio 2019

Disadattato e Fallito


Sono un fallito. E un disadattato
E cosa significa essere un fallito? E’ forse uno degli insulti più pesanti che si può fare oggi ad una persona… “fallito”… in America usano “loser” (perdente)… e il problema personale peggiore che puoi avere è “essere un disadattato”, un “misfit”
Ebbene si, io sono un fallito. Sono un fallito perché non ho raggiunto il successo in ciò che conta, nella carriera, nella famiglia tradizionale, nel prestigio, nella coppia. Sono un fallito perché le persone non parlano di me, non sono interessate a me… e se parlano di me non dicono “eh, quello è uno di successo”
Sono un fallito. Sono un fallito perché secondo i valori che oggi sono al centro (beh, non più tanto al centro se guardiamo con più attenzione), io non ho raggiunto gli obiettivi che andavano raggiunti
E sono un disadattato. Sono un disadattato perché essere un fallito non mi fa sentire male, non mi fa sentire in imbarazzo, non mi fa sentire meno degno. Sono un disadattato perché ho compreso che dicendo “sono un fallito” in realtà sto dicendo che “ciò che conta” è fallito in me. La carriera, il prestigio, hanno fallito; non riescono più a nutrirmi, non riescono più a farmi sentire bene. Ciò che ha veramente fallito è questo sistema di valori… non sono normale, non dovrebbe essere normale sentire che essere un fallito non è un problema, quindi non sono adeguatamente integrato.
Ma non sono uno di quelli che parla del “sistema”, come se fosse una creatura geniale, subdola, che intenzionalmente e malignamente cerca di creare la società del male. Il sistema… inteso come insieme di valori e credenze: l’insieme di ciò che si deve fare per essere felici. Questo sistema si crea e si distrugge, generazione dopo generazione, epoca dopo epoca. I potenti del sistema sembrano geni del male, fin quando sono al potere, ma sono semplicemente persone disturbate e in perenne terrore di perdere ciò che hanno. Ciò che ieri si credeva rendesse piena e felice la vita di un essere umano, oggi viene rigettato e giudicato banale e ciò che oggi si crede dia la felicità, domani non lo si crederà più, non lo si cercherà più… e ogni “promessa” fatta da qualcuno che ti promette “quello” perderà fascino. Ogni minaccia che ti prometterà di toglierti “quello”, non farà più paura… questo cambierà tutto.
E cosa è morto quindi oggi in me? In cosa ho fallito? Perché sono un disadattato? Sono un disadattato perché questo sistema non funziona più in me. Non sono adatto, e non mi voglio adattare. Non mi interessa la promessa di una posizione di prestigio. Non mi intimorisce la minaccia dell’umiliazione professionale. Se perderò il lavoro mi sentirò male perché avrò difficoltà a far vivere una vita degna alle mie figlie, non perché “essere un disoccupato” è una cosa umiliante che mi rende meno degno. Sono un disadattato perché non misuro il mio valore dal numero di sguardi ammirati e commenti rispettosi degli sconosciuti. Non mi sento meno degno perché ho fallito nel compito di centrare i successi del sistema. Sono un disadattato perché non aderisco ai valori comunemente accettati come “ciò che rende la tua vita degna e felice”.
Ma non succede solo in me. Succede a molti. Molte persone non si sentono più appagate ottenendo ciò che si dice si debba ottenere. Le persone non sono felici pura avendo “ciò che rende felici”. Avere l’ultimo modello di cellulare non basta più. Molti continuano a farlo, a cercare spasmodicamente un simbolo di successo, di adattamento… semplicemente perché non hanno altro in cui credere, hanno vissuto così a lungo in una realtà in cui “essere all’ultima moda e prestigioso” ti rende felice, che continuano a cercare in ogni modo di “essere all’ultima moda”, ma non ne traggono più alcun sollievo… è diventata inerzia, ma il sistema ha fallito anche in loro. Siamo tantissimi. Se solo accettassimo tutti il fallimento di tutte le nostre aspettative, di tutti i nostri valori, di tutto ciò che credevamo ci avrebbe reso felici… saremmo liberi da false promesse e vuote minacce. Saremmo finalmente vuoti, e quindi pronti a riempirci di nuove idee, nuovi valori, nuove credenze.
E succederà. Perché i falliti e i disadattati sono sempre di più… perché nessun senso e valore che rimane mondano e non trascende la vita e l’io, può primeggiare nella coscienza collettiva troppo a lungo. E come in ogni momento in cui un sistema di valori e credenza crolla, gli ultimi “tradizionalisti” diventano isterici e difendono terrorizzati e violentemente la decadenza; quanto è difficile dire “non so più cosa fare per essere felice”. E’ più facile aumentare istericamente la propria “adesione” fingendo che funzioni, anche se dentro il vuoto è sempre più grande. Prima o poi la vacuità e la transitorietà di cui sono intrisi “i sensi e i valori non trascendenti” vengono sempre fuori, il loro valore energetico si esaurisce e la ricerca di sempre, quella che va avanti dagli albori dell’umanità, la ricerca dell’immortalità, intesa come superamento della paura della morte, come ribellione interna all’assurdo della morte, riprende il suo cammino, apparentemente come in un cerchio che si ripete, ma in realtà come in una scala a chiocciola circolare, che vista da sopra è un cerchio, ma ad ogni giro si sale un piano.
Devi scegliere. Vuoi continuare a cercare il successo, cercando di diventare ciò il sistema dice sia “una persona felice”? Oppure sei convinto che, anche se raggiungessi gli obiettivi “che vanno raggiunti” rimarrebbe il tuo vuoto esistenziale? Cosa potrà mai riempire quel vuoto?
Mettiti davanti allo specchio e per dirti con fede una di queste due cose
“Cercherò con tutto me stesso di essere una persona di successo”
Oppure
“Sono un fallito e un disadattato”
Da qui, partirà il resto della tua vita. Questo traccerà la direzione delle tue azioni.
La prima cosa da fare è dare agli altri ciò di cui sentiamo più bisogno, ciò che vorremmo venisse dato a noi.
Ricordiamoci che ogni mattina inizia il resto della nostra vita.

giovedì 20 dicembre 2018

L'esperienza

Non esiste un modo buono e un modo sbagliato di praticare. Non esiste una seduta di meditazione che è andata bene ed una che è andata male. Esiste “essere cosciente” e “non essere coscienti”. “Fatto bene” e “fatto male” appartengono a questi “spazi” e non a quelli.

Qualsiasi “risultato” si ottenga con una seduta è una ricerca dell'Io periferico. Il successo e l'insuccesso sono concetti di questa mente incatenata. 

C'è differenza tra “idea” ed “Esperienza”.

A me interessa la seconda più che la prima. Basta non confondermi, poiché l'Esperienza non è ciò che ricordo di essa. Quello che ricordo è la traduzione di quella Esperienza. Non è un male, basta mantenere il centro. L'Esperienza la sintetizzo in questa frase: “Tutto vive e tutto sta bene. La musica e le cose non hanno nome e davvero nulla le può designare veramente”.

Gli spazi profondi sono indubitabili e indefinibili.

Cosa è reale? Questo o quello? Questa discriminazione è già opera della mente incatenata e non della Mente Lucida. La Mente Lucida non effettua distinzione tra “Uno” e “Tutto”. Non c'è discriminazione, non c'è separazione. 

La Mente Lucida vive la Vita che si esprime. La Mente Lucida vede “io”, vede “mondo” e comprende che non c'è discriminazione. La Mente Lucida non ha fine, non ha inizio. La Mente Lucida partecipa, attivamente.

Perché “io essere umano”? Perché “la coscienza”? Parafrasando altri “Perché l'essere e non piuttosto il nulla”?

Meraviglia delle meraviglie.

Cosa è questo osservare se stesso? C'è questo modo di “osservare dentro”, “osservarsi”, che è diverso dal solito. Come se esistesse un osservatore più in là. Che direzione ha questo sguardo? Se un punto è diretto a se stesso, esiste una direzione? E se non esiste una direzione esiste solo l'essere. Se invece esiste una direzione, da dove parte se il bersaglio sono io? Sono compartecipe di qualcosa. Non parte da me né da fuori di me. Sono compartecipe nell'agire ed essere oggetto. Sono contemporaneamente osservatore ed osservato. Sono compartecipe.

Le parole sono insufficienti. Cerco nuovi linguaggi.

Mi siedo e faccio silenzio. Perché senza Esperienza c'è solo la mente incatenata e tutto diventa consumo. Consumo cose, emozioni, pensieri. L'Esperienza mi dà futuro e certezza. Stabilità in movimento. 

Ogni cosa è in contatto con Tutto, né fa parte, né è espressione. Esiste solo una cosa ed essa si esprime in universi e mondi. Il mio guardare e il guardato, è l'espressione dell'Unica Cosa.

venerdì 14 dicembre 2018

Possesso e Libertà

Voglio possedere tutto.

Esperienze, sapori, vendette. Ogni cosa che passa per la mia vita l'afferro, ne voglio strappare l'essenza, la voglio possedere. 

Questa sembra essere la radice di tutte le tensioni. “La radice possessiva della sofferenza”. Contrarre, tirare, afferrare, trattenere.

Lasciarsi possedere dalla verità interiore. Lasciare che si manifesti. Non discriminare. Non separare. Non oscillare. Essere il fulcro e non il pendolo.

Osservo me stesso. Chi osserva chi? Esiste un momento preciso in cui, ponendo attenzione alla mia vita, a ciò che faccio, sento, dico, penso, prende corpo un centro inamovibile. Un centro “nonostante tutto”. Quando questo centro agisce, tutto funziona in un modo diverso. Non sembra possibile possedere qualcosa; sembra quasi puerile pensare di possedere qualcosa. Non sono più qui nel tentativo di possedere ciò che è lì. Qui e lì, io e il “mondo”, sembrano semplicemente partecipare allo stesso spettacolo. Collaboro.

Soffro quando non ho il controllo. Smetto di soffrire quando sono cosciente che non posso avere il controllo.

Presenza mentale. Essere presenti a se stessi. Coscienza di sé.

Perché l'essere umano? Perché di tutti gli esseri, siamo l'unico che genera la propria stessa sofferenza? A mio avviso non può che essere un passaggio necessario, un ostacolo lungo l'ascesa.

Io... noi, come forma più ampia di “io” è sempre io.

Quando sono realmente sveglio vedo come tutto partecipa e come non c'è distinzione alcuna, non c'è separazione ed esiste un unico fenomeno, di cui faccio parte come il vento, il sasso e la stella.

Per agire nel mondo devo discriminare. Quando sono realmente sveglio sono cosciente della discriminazione e del fallo insito in essa. Non posso smettere di distinguere, separare e scegliere, ma posso farlo sapendo di farlo. Sono vivo nell'imperfezione, in ascesa, in espansione.

Partecipo al fenomeno dell'esistere. Qui, con questo corpo.

Vedo il potere totale della compassione. Il “campo di bontà” che comprende ogni cosa e partecipa in ogni cosa. Agire con bontà, con amorevolezza. Vibro di allegria al solo pensiero.

Ho la concreta possibilità di essere ciò che voglio, essendo partecipe.